Il caso della Madonna Stoclet di Duccio sottolinea una peculiarità della Fototeca di Zeri, quella di documentare in modo seriale le opere d'arte a più riprese nell'arco degli anni, così da consegnarci una scheda genetica dell'opera, cruciale per la sua conoscenza, la conservazione, i restauri.
Nel novembre 2004 il Metropolitan Museum of Art di New York annuncia di aver acquistato a Londra da Christie's la Madonna con Bambino già Stoclet di Duccio di Buoninsegna (1255 ca.-1318/19) per una cifra che fonti autorevoli indicano attorno ai 47 milioni di dollari.
Si tratta dell'acquisto più costoso siglato nel corso della storia del museo. Del resto, frammenti della Maestà a parte, i dipinti di Duccio sono appena una decina, nessuno al Louvre e nessuno, fino ad allora, al Met, che con orgoglio presenta la piccola tavola (cm 27,9 x 21), rimasta a lungo sepolta nella collezione Adolphe Stoclet a Bruxelles.
 
La storia documentata del dipinto ha inizio nel 1904, quando il conte Grigorij Sergeevich Stroganoff, a una settimana dall'inaugurazione della Mostra d'arte antica senese, propone al curatore Corrado Ricci questa Madonna di Duccio e una Vergine Annunciata attribuita a Simone Martini. Le opere sono citate in catalogo nell'elenco dei prestiti col numero 37 (1960) e 38 (1959), ma non sono riprodotte (Mostra 1904, pp. 308-309).
 
La tavoletta di Duccio è in collezione Stroganoff dall'ultimo decennio del secolo precedente, ma le modalità e i tempi d'acquisizione restano sconosciuti. Alla morte del conte, avvenuta nel 1910, la Madonna passa alla figlia, principessa Maria Grigorievna Scerbatov, quindi ai suoi figli, principe Vladimir Alekseevich e principessa Aleksandra Alekseevna (fino al 1920), poi alla vedova del principe Vladimir, principessa Elena Petrovna Scerbatov, e alle sue figlie Olga e Maria Vladimirovna.
Alla fine del 1920 la collezione viene frammentata e venduta. La Madonna di Duccio viene acquistata nel 1923, tramite Giuseppe Sangiorgi (Joseph Duveen l'aveva rifiutata perché lontana dal gusto statunitense), dal banchiere belga Aldophe Stoclet, che la presta in due sole occasioni pubbliche: alla Royal Academy of Arts di Londra nel 1930 (Exhibition of Italian Art 1200-1900) e al Petit Palais di Parigi nel 1935 (Exposition de l'art italien de Cimabue à Tiepolo).
Nel 1933 Bernard Berenson, che frequenta Palazzo Stoclet a Bruxelles, segnala la tavola al braccio destro di Duveen, Edward Fowles, come «the very loveliest and yet the most characteristic thing he ever did. I doubt whether a more precious painting of a primitif exists. It is a treasure you should dive for, and let no one snatch away» (lettera di Bernard Berenson a Edward Fowles, cit. in Christiansen 2008, p. 50). Ma il mercato americano non è in quegli anni interessato ai primitivi e Duveen non coglie il suggerimento.
Da allora il dipinto è rimasto inaccessibile al pubblico e agli studiosi, fino alla ricomparsa sul mercato di Londra nel 2004.
 
A partire dalla mostra senese la tavola assume un ruolo significativo nella letteratura sui primitivi e l'attribuzione a Duccio viene sostenuta, tra gli altri, da Frederick Mason Perkins (1904a e 1904b), Crowe e Cavalcaselle (1908), Bernard Berenson (1909) e Raimond van Marle (1924).
L'opera è nota e studiata solo per il tramite di alcune fotografie scattate in occasione della mostra del 1904, dell'articolo di Perkins su «Rassegna d'arte» (Foto Burton, Firenze) e del catalogo della collezione Stroganoff curato da Antonio Muñoz nel 1911-1912 (riproduzione fotomeccanica di Danesi, Roma da scatto anonimo).
 
Nell'estate 2006 James Beck, professore di Storia dell'arte alla Columbia University di New York, sferra un attacco sul New York Times affermando che il Duccio comprato dal Metropolitan è falso.
Keith Christiansen, fra i massimi esperti di pittura italiana ai vertici del dipartimento European Paintings del Metropolitan Museum of Art, scrive alla Fondazione Zeri chiedendo di verificare se nei faldoni dello studioso ci sia una foto o un appunto che ne attesti il parere. «Indeed, [photographs] provide a unique documentation of the early conservation history of the painting» (Christiansen 2007, p. 40).
 
La verifica dà risultati sorprendenti: nel proprio archivio Zeri aveva cinque fotografie della Madonna Stoclet, eseguite in tempi diversi (invv. 19483-19487).
Alcune foto risalgono ad anni molto lontani. Due stampe anonime alla gelatina ai sali d'argento su carta baritata (invv. 19483-19484) sono databili tra l'inizio e gli anni Quaranta del Novecento e corrispondono alla riproduzione fotomeccanica stampata da Danesi per il catalogo della collezione Stroganoff curato da Muñoz (Pollak, Muñoz 1912, vol. II, tav. I).
 
 
Una stampa all'albumina (inv. 19486) riporta sul verso il timbro «Fotografia Lombardi – Siena» e una nota manoscritta in alto a destra «14 Esp.», che non trova riscontro in alcun catalogo Lombardi e fa forse riferimento all'esposizione senese. Nell'Appendice al Catalogo Generale Fotografie Artistiche della Città e Provincia di Siena del 1906 la fotografia è elencata con il numero 2834, subito seguita dall'Annunciata di Simone Martini, anch'essa esposta in mostra e anch'essa presente in fototeca Zeri con nota sul verso «15 Esp.» (inv. 21272).
Si tratta dunque di una ripresa effettuata probabilmente nel 1904, anno dell'esposizione, non da Paolo Lombardi (morto nel 1890) ma dal figlio Galileo o da qualche altro operatore dello Stabilimento. Per confronto è possibile attribuire alla medesima occasione anche l'altra albumina raffigurante il medesimo soggetto conservata in fototeca (inv. 19485).
 
 
Ma la cosa importante è che nella fototeca di Zeri esiste una stampa anonima all'albumina (inv. 19487): è la più antica che si conosca e, a quanto risulta, inedita. Testimonia uno stato di conservazione precedente il 1904 e le riprese di Lombardi e di Burton: «It is invaluable and by itself would establish the authenticity of the painting. Everett [Fahy] and I think it must have been taken by a dealer and it is certainly prior to the time Stroganoff bought it» (lettera di Keith Christiansen a Anna Ottani Cavina, 6 settembre 2006, cit. in Ottani Cavina 2006).
 
 
Si tratta dunque di un documento importantissimo che riafferma l'autenticità del dipinto (a date tanto remote la falsificazione di Duccio appare improbabile). Vi si leggono la vernice ossidata originale dell'opera, le condizioni di conservazione precedenti interventi di restauro, le bruciature di candela sulla parte inferiore della cornice. «It is a perfect testimony to the importance of the fototeca for anyone interested in the history of objects» (lettera di Keith Christiansen a Anna Ottani Cavina, cit. in Ottani Cavina 2006).
 
Fondazione Federico Zeri, marzo 2011
 
 
Bibliografia
 
Perkins 1904a
Frederick Mason Perkins, The Sienese Exhibition of Ancient Art, «Burlington Magazine», 5, settembre 1904, pp. 581-584
 
Perkins 1904b
Frederick Mason Perkins, La pittura alla mostra d'arte antica in Siena, «Rassegna d'arte», 4, ottobre 1904, pp. 145-153
 
Mostra 1904
Mostra dell'antica arte senese, aprile-agosto 1904, Catalogo generale illustrato, Siena 1904
 
Crowe, Cavalcaselle 1908
Joseph Archer Crowe, Giovanni Battista Cavalcaselle, A History of Painting in Italy, Umbria, Florence and Siena from the Second to the Sixteenth Century, vol. III, London 1908
 
Berenson 1909
Bernard Berenson, The Central Italian Painters of the Renaissance, New York 1909
 
Pollak, Muñoz 1912
Ludwig Pollak, Antonio Muñoz, Pièces de choix de la collection du comte Grégoire Stroganoff à Rome, vol. II, Roma 1912
 
van Marle 1924
Raimond van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, vol. II, The Hague 1924
 
Ottani Cavina 2006
Anna Ottani Cavina, Una foto salva Duccio, «Il Sole 24 Ore», 8 ottobre 2006, p. 49
 
Christiansen 2007
Keith Christiansen, The Metropolitan's Duccio, «Apollo», 165, febbraio 2007, pp. 40-47
 
Christiansen 2008
Keith Christiansen, Duccio and the Origins of Western Painting, «Metropolitan Museum of Art Bulletin», 66, Summer 2008