Federico Zeri nasce a Roma nel 1921 e muore il 5 ottobre 1998 nella sua villa di Mentana. Studioso e storico dell'arte eccentrico, è considerato uno dei più straordinari conoscitori del Novecento. All'Università di Bologna, che gli conferisce la laurea ad honorem il 6 febbraio 1998, lascia la fototeca e la biblioteca d'arte.
"Sono nato a Roma in via XXIV Maggio il 12 agosto 1921 a pochi passi dal Quirinale e dalle statue dei Dioscuri". La Roma papale accanto a quella imperiale. Così Federico Zeri, nella sua autobiografia, definisce i propri confini culturali in funzione della precoce vocazione per l'arte e l'antichità classica che segnerà il suo percorso di studioso.
 
L'incontro decisivo avviene all'inizio degli anni '40 del Novecento quando, all'Università di Roma, frequenta i corsi di Pietro Toesca, con cui si laurea nel 1945. L'argomento della tesi, Jacopino del Conte, un pittore allora trascurato del manierismo romano, è già indicativo di un approccio poco convenzionale alla disciplina. Zeri sceglierà spesso punti di osservazione defilati per interrogarsi in modo innovativo sui grandi temi della storia dell'arte. Ne dà prova in Pittura e Controriforma (Einaudi, Torino 1957) che, pur richiamando nel sottotitolo il nome di Scipione Pulzone, altro comprimario del tardo manierismo, costituisce una pietra miliare nell'interpretazione storica di quell'epoca.
 
È Pietro Toesca a presentare Zeri a Bernard Berenson, personaggio che affascina il giovane studioso, che gli dedicherà più tardi il volume sul "Maestro delle tavole Barberini" (Einaudi, Torino 1961). Alla fine della guerra risale la conoscenza di Giuliano Briganti, di Mario Praz e soprattutto di Roberto Longhi, un maestro dal carattere forte e carismatico, con cui Zeri avrà rapporti contrastati e competitivi.
 
Entrato nell'amministrazione pubblica delle Belle Arti, nel 1948 è nominato direttore della Galleria Spada di Roma, incarico che abbandona all'inizio degli anni '50 dopo avere licenziato un fondamentale catalogo della collezione, pubblicato nel 1952.
 
Di qui in avanti la carriera di Zeri è quella di uno studioso autonomo, ma non verrà meno in lui la coscienza critica della tutela e dei legami strettissimi fra le opere e i loro contesti.
Attento alla riscoperta di aree marginali della produzione artistica, gli si deve il recupero filologico e storico di artisti dimenticati, di complessi pittorici dispersi, di un'intera geografia figurativa trascurata dagli studi. Lo studioso vi dedica numerosissimi contributi, notevoli anche per la qualità della scrittura, nitida ed essenziale, calibrata sulla letteratura artistica anglosassone se non addirittura sul linguaggio scientifico; in ogni caso controcorrente rispetto allo stile più allusivo e letterario della cerchia longhiana.
 
I primi viaggi a Parigi e a Londra fra il 1947 e il 1948 lo mettono in contatto con personalità di spicco della connoisseurship internazionale, Philip Pouncey, Denis Mahon, John Pope-Hennessy, Frederick Antal. Di quest'ultimo, per i suoi studi su arte e società, Zeri si dichiara in seguito debitore.
 
Il suo approccio filologico all'opera d'arte e il momento rivelatore dell'"attribuzione" non sono infatti mai fini a se stessi. Dimostrano un'attenzione ai dati materiali delle opere, alla loro storia e ai suoi più imprevisti cortocircuiti. Così, partendo dalla pittura del Rinascimento, Zeri finisce per occuparsi anche di falsificazioni artistiche quali momenti rivelatori di un certo gusto collezionistico e di un diverso modo di leggere le opere d'arte del passato.
 
Fondamentale resta però il metodo del conoscitore, appreso da Toesca, Berenson e Longhi. Primo strumento di lavoro sarà quindi la fototeca che egli inizia a formare dagli anni '40, e che nel tempo diventerà "il più grande archivio privato al mondo sulla pittura italiana", luogo di ricerca di coerenti serie storiche per ogni opera fuori contesto. Era stato Berenson, del resto, a sostenere che, nella storia dell'arte, "vince" chi ha più fotografie, chi può cioè meglio documentare ogni singola variante stilistica, nelle diverse epoche.
 
Questo talento di conoscitore si unisce a un'intensa vita di relazioni che lo mette in contatto con i grandi collezionisti e antiquari dell'epoca, fra i quali Vittorio Cini, J. Paul Getty, Alessandro Contini Bonacossi, Daniel Wildenstein.
 
Di grande importanza, perché all'epoca poco coltivati dall'intellighenzia italiana, i rapporti con gli Stati Uniti: visiting professor presso la Harvard University di Cambridge (Mass.) e la Columbia University di New York, svolge un ruolo di primo piano nella costituzione del J. Paul Getty Museum di Malibù. Firma il repertorio dei dipinti italiani nelle collezioni pubbliche americane (Census of pre-nineteenth-century Italian paintings in North American public collections, Cambridge, Mass., 1972, in collaborazione con B. Fredericksen), il catalogo della Walters Art Gallery di Baltimora (1976) e i quattro volumi del catalogo di dipinti italiani del Metropolitan Museum of Art di New York (1971, 1973, 1980, 1986).
 
Muovendosi tra l'Europa, gli Stati Uniti e il Medio Oriente, Zeri, quando non viaggia, tende a isolarsi nella sua casa di Mentana, fatta costruire sulle sue esigenze di vita e di studioso dall'architetto Andrea Busiri Vici nel 1963. Dall'isolamento nella campagna romana non esita a lanciare i suoi strali attraverso la stampa e la televisione, fino a imporsi come coscienza critica nel mondo della cultura italiana che gli riserva tardivi riconoscimenti.
 
Dal 1975 al 1984, unico europeo, è trustee del J. Paul Getty Museum.
Nel 1993 viene nominato vicepresidente del Consiglio nazionale dei beni culturali. Nell'aprile del 1997 è ammesso all'Académie des Beaux-Arts di Parigi dove prende il posto di Richard Nixon.
Il 6 febbraio 1998 gli è conferita la laurea ad honorem dell'Università di Bologna dal Rettore Fabio Roversi Monaco. La laudatio è pronunciata da Anna Ottani Cavina.
 
Zeri continua a lavorare fino all'ultimo, perché "ogni giorno porta il suo carico di fotografie e di quadri".
Muore a Mentana il 5 ottobre 1998.