di Martina Bordone

Il fondo fotografico di Guglielmo Matthiae occupa un posto di rilievo tra le raccolte acquisite da Federico Zeri e da lui smistate all’interno del suo archivio personale. Le circa 5.000 fotografie che lo componevano, in gran parte oggi consultabili attraverso la banca dati della Fondazione, sono riconoscibili grazie ad annotazioni autografe sui versi, oppure a particolari segni editoriali e di degrado, e sono state al centro di un progetto di ricerca appena concluso.

Studiando la morfologia dei materiali, si intuisce come l’archivio Matthiae non condividesse in principio l’organizzazione tassonomica zeriana, ma si articolasse piuttosto per annate di studio e pubblicazioni, ben rispecchiando il pensiero critico di Matthiae stesso che, come emerge dall’esame della sua produzione scientifica condotto parallelamente all’intervento sul fondo, solitamente procede per associazioni e contrappunti.

Accanto ai fototipi che documentano opere di scuola italiana, soprattutto pitture e mosaici romani e abruzzesi, e agli scatti che testimoniano l’attività militante di Matthiae nella supervisione dei restauri postbellici in Lazio, sono numerose le immagini che rispondono ai suoi interessi per l’arte del Mediterraneo orientale. In origine accostate probabilmente senza soluzione di continuità alle stampe che ritraggono contesti centro-italiani, queste furono suddivise da Zeri in diverse sezioni: nei fascicoli Nuclei tematici_Icone, ma soprattutto nella serie Archeologia e arte alto medievale.

Molti di questi oggetti fotografici rappresentano riproduzioni di tavole di libri, egualmente approdati nella biblioteca della Fondazione Zeri, o cartoline, come quelle che documentano le chiese rupestri cappadoci: entrambe queste tipologie di materiali sono state “rilavorate” da Matthiae, che conserva diverse copie delle nuove immagini ottenute ri-fotografando il positivo di partenza, variandone contrasto, taglio e dimensioni di stampa.

Non mancano però fototipi più pregiati, in grado di dialogare con i più antichi materiali del fondo Muñoz, anch’essi smistati da Zeri nelle medesime sezioni e intrecciati per opere documentate e autori fotografi. Un caso emblematico è la serie di fotografie della Kariye Camii: si conservano sia le albumine della campagna Sebah&Joaillier del 1892, già appartenute a Muñoz, sia alcune gelatine di provenienza Matthiae nelle quali sono state modificate le didascalie e scontornati gli oggetti rappresentati (intervenendo o sul negativo o sul positivo rifotografato), in modo da isolarli dal contesto. Tali riproduzioni furono forse commercializzate dagli stessi eredi dello studio Sebah&Joaillier come materiale didattico; oppure realizzate per le stesse finalità da istituzioni pubbliche, come l’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma con cui Matthiae coltivava assidui e amichevoli rapporti.

Altri contatti, riferibili a una fase più tarda della carriera dello studioso, sono quelli con professionisti attivi sul territorio elladico, forieri dei materiali più rari: le stampe del fotografo ateniese Pericles Papahadjidakis, conosciuto tramite Manolis Chatzidakis famoso bizantinista greco e punto di riferimento per Matthiae; i preziosi positivi del tessalonicese Georgios Lykides, fondamentali nella documentazione di contesti perduti come la Metropoli di Serres; infine, le serie fotografiche riconducibili a campagne promosse dal Department of Antiquities of Cyprus che testimoniano i più importanti cicli di pittura murale conservati all’interno delle chiese cipriote.

Lascito importante di Matthiae è il pionieristico interesse rispetto a conservazione e restauro delle opere d’arte, un interesse che emerge anche dallo studio del materiale fotografico utilizzato per le sue pubblicazioni. Tanto nella trattazione del ciclo musivo della Nea Monì di Chios, quanto dei mosaici romani, o delle pitture murali di Santa Croce in Gerusalemme e Grottaferrata, Matthiae si sofferma a lungo su questi aspetti. Se si prendono in considerazione le campagne fotografiche collegate a questi scritti presenti nella raccolta, si nota come moltissime stampe presentino annotazioni che con notevole acribia distinguono i brani originali da quelli esito di restauri integrativi antichi o di interventi più recenti, più o meno filologici.

Queste indicazioni autografe lasciate sui positivi rappresentano di certo il lascito più stimolante, prezioso e gravido di nuove ricerche per chi vorrà consultare nel catalogo online, o in forma analogica, i materiali di provenienza Matthiae.